La perizia in tribunale

La perizia in tribunale

Manuale di consulenza grafotecnica
Autori: Evi Crotti, Alberto Magni, Oscar Venturini
Casa editrice: Franco Angeli, 2011

PREFAZIONE A CURA DI: Dott. Gianni Caizzi

già Magistrato del Pubblico Ministero
Procuratore generale emerito
della Suprema Corte di Cassazione

Dietro ciascun soggetto c’è la propria storia personale. Più oltre si intravvedono gli aspetti ambientali e quelli culturali. Tutte forze, nel senso di tracce che lasciano e d’influenza che esercitano, che agiscono sulla struttura di personalità e nella formazione del carattere. Ciascun elemento gioca un ruolo rilevante nell’amalgama fondativa della personalità, riversandosi in misura consistente nella forma che quella va assumendo, che é la solitaria e intima esperienza di vita. L’elaborazione inconsapevole cioè, dei dati provenienti dal vissuto nel confronto con quanto va già sedimentandosi e che orienterà scelte e determinerà inclinazioni. La maggior parte del tempo a nostra disposizione viene impiegato nello scambio di segni per riconoscersi. Nel gioco della comunicazione per taluno il travestitismo diventa una ritualità mimetica. Riveliamo a noi stessi, quando ne siamo consapevoli, e nascondiamo agli altri.
Il mimetismo della dissimulazione si colora di una doppia sembianza. Una cosmesi esteriore rassicurante e una interiore che riguarda l’habitat psichico dove si consolidano devianze.
La comunicazione ha fatto strada e oggi una invisibile rete elettronica copre l’intero globo, con impulsi che lo attraversano in frazioni di secondo. Non ci sono tuttavia archi informatici che non possano essere violati, come dimostrano alcuni recenti fatti di cronaca. Per altro verso la stessa interiorità dell’uomo é diventata decifrabile, con il penetrare nei suoi già insondabili recessi, con gli strumenti della psicanalisi e della psicologia applicata.
La simulazione dell’altrui identità attraverso il linguaggio scritto è un mimetismo che si parassita per prevalenti finalità di lucro. E’ qui che soccorre la tecnica di indagine grafica facendone emergere, con l’ausilio della psicolinguistica, gli aspetti reconditi e quelli mimetizzati. Un filo di Arianna nel labirinto del linguaggio cha permette d’individuare le particolarità dissimulate.
Visto da un’angolazione eccentrica é come individuare e seguire le tracce lasciate da una selvaggina particolare, selvaggia quanto basta per discostarsi dalle regole necessarie di convivenza, per una convenienza dettata da percezioni e stimoli divergenti che allontanano dalla normalità. Per aggirare tali regole, che sono sanzioni nate dalla legge, mimetizzandosi e alterando le particolarità espressive, impronta di ciascuna individualità, e per sostituirsi per mascheramento mutando i propri tratti identificativi al fine d’indurre in inganno.
Contro tutto ciò la legge e gli strumenti di cui si avvale, un umanesimo tecnico scientifico che percorre a ritroso il processo di travestimento e simulazione che ha portato al disordine identitario. Una lesione inferta alla sistematica del riconoscimento e all’autonomia decisionale ed espressiva attribuita al soggetto a garanzia della sovranità, su se stesso e gli interessi congiunti.
La metodologia rivela la propria caratura nel percorso a ritroso dalla traccia lasciata alla coerenza dei segni via via individuati che ricompongono, come per un “effetto domino”, la trama oltre la quale prendono consistenza le particolarità psicofisiche e temperamentali dell’autore e le finalità perseguite. Un chiaroscuro a ricalco che fa risaltare il contorno e i tratti dell’impronta con la nitidezza dell’immagine che dal negativo affiora nella reazione chimica.
Se l’elettronica apre scenari su violazioni della legalità di altra natura, quali la penetrazione in sistemi criptati, il linguaggio scritto è sempre lo strumento per sostituirsi ad altra persona attribuendogli la paternità di atti che producono effetti giuridici.
Il linguaggio, come contenitore di significato, è il risultato dei processi cognitivi di chi lo usa. Nell’apparente uniformità dell’umano, le differenze vengono colte dalla psicologia che individua i tratti essenziali della personalità, identificandoli nel vissuto di ciascuno. Modi espressivi, incertezze, differenze culturali, strutturazione del linguaggio, disvelamento di aspetti mimetizzati e intenzioni riposte.
A tale riguardo si può dire che il linguaggio scritto, ancor più di quello parlato, rappresenta un’impronta di personalità lasciata dal soggetto che può portare, attraverso una sofisticata metodologia, alla sua identificazione. La decodificazione del linguaggio é appannaggio della psicolinguistica forense e la perizia grafotecnica é l’arma legale che consente di risalire all’autore della lettera minatoria, della falsificazione di un documento, della traccia scritta lasciata sulla scena del delitto.
Se il linguaggio orale é rivelatore di origini, cultura e temperamento, quello scritto è soprattutto proiezione e specchio della personalità. E così di intenzioni, aspetti caratteriali e delle particolarità espressive. Si può dire che paradossalmente l’autore del falso proietta nello scritto la parte di sé che vuole occultare.
La grafologia giudiziaria esige l’adozione di canoni e metodologie che ne fanno, con l’ausilio della psicologia, un sussidio indispensabile per l’attività di ricerca della verità.
Questo manuale sulla consulenza grafotecnica, curato da Evi Crotti, Alberto Magni e Oscar Venturini, illustra in modo approfondito, esaminandoli criticamente, metodi e prassi d’indagine nella ricerca della verità giudiziaria in materia di documenti apocrifi. Il metodo grafologico procede così oltre la fase descrittiva per collegare le particolarità espressive alle dinamiche psichiche, in connessione con la cultura, l’emotività, l’affettività e i disturbi di personalità. La scrittura appunto come proiezione della personalità del soggetto.

PRESENTAZIONE A CURA DI:  Avv. Lodovico Isolabella

Il titolo del libro è “Manuale di perizia”; in realtà la analitica compiutezza dell’opera e l’approfondimento dedicato dagli Autori ad ogni capitolo ossia ad ogni argomento sembrerebbe classificarlo più come “Trattato” anche se la sistematica dell’informazione e dunque l’agilità di consultazione, che lo rendono accessibile ad un vasto pubblico, possono essere tipiche del manuale.
In realtà, secondo me, l’opera di Evi Crotti, Alberto Magni e Oscar Venturini rientra tra le “istitutiones” di metodologia peritale. Apporto essenziale, in una materia che, di grande interesse teorico e vasta “richiesta” pratica per potere assurgere alla dignità di scienza ed essere riconosciuta come tale, vuol essere trattata in costante coerenza ad una metodologia “propria” nota e approvata dalla comunità del mondo grafologico.

Bene, gli autori propongono appunto una filosofia metodologica destinata a trasfondersi in lessico la cui utilizzazione, per essere attendibile (e dunque scientifica), reclama l’inderogabilità: e cioè la costante di un “linguaggio” comune cui il lettore passa affidare la formulazione del proprio giudizio. Ma la “proposta” metodologica degli autori, tutt’altro che approssimativa ma formulata a seguito di disamine e di articolate riflessioni, non è offerta né al pubblico né ai tecnici come un diktat definitivo, bensì con l’umile intento di ottenere dagli operatori del ramo – se non il pieno consenso che sembra meritare – quel serio contributo critico, che volge precisamente alla formulazione di una “comunis opinio” metodologica, ossia al presupposto necessario per la valenza scientifica della perizia grafica.

L’antica collaborazione con lo studio Crotti-Magni mi ha reso conto della implacabile capacità che Evi Crotti ha di penetrare l’intimo delle persone di cui osserva la calligrafia, interpretandone il ductus quale test prospettico psico-dinamico a vasta gamma espressiva non adattabile, non alterabile, non falsificabile; il dott. Alberto Magni poi esamina e valuta la neuro-genesi del gesto grafico. I numerosi incontri professionali che ho avuto con la Crotti e con il Magni hanno costituito, ogni volta, una sorpresa e una conferma! Troppe volte mi sono sentito rispondere, alla richiesta di una consulenza o di un parere pro veritate, che, alla luce delle più attente valutazioni, le “probabilità” a favore della ipotesi da me prospettata erano inadeguate o insufficienti ai fini di una tesi obiettivamente credibile, per non ritenermi tranquillo circa la solidità del fondamento su cui normalmente riposa il loro responso!
Eppure non sempre quel responso è condiviso e non sempre il loro giudizio trova il consenso di altri esperti o, in sede giudiziale, l’adesione del Giudice. Ciò che -peraltro- non mi ha affatto convinto dell’”errore” dei miei consulenti (e cioè degli autori): per la semplice ma decisiva ragione che mentre non sono riuscito a comprendere i linguaggi ex adverso, sono stato sempre perfettamente in grado di seguire e condividere il ragionamento degli stessi desunto da premesse metodologiche fondate e ferramente seguite. In sede processuale anche al Giudice sovente manca il criterio base comune – o logicamente precisato – in riferimento al quale effettuare le valutazioni finali previo un corretto esame comparativo e differenziale fra le diverse o contrapposte  esposizioni peritali che troppo sovente non costituiscono la proiezione logica di chiare premesse metodologiche.
Ad esempio molto spesso sfugge la ragione per la quale una “l” (o qualsiasi altro grafema), apparentemente uguale a molte altre “l”, da talun perito è fatta risalire a mani diverse mentre da talaltro perito viene ricondotta all’identica mano; e -preliminarmente- è sfuggito (od è mancato!) il parametro in riferimento al quale l’un perito ha ritenuto l’identità e l’altro la diversità d’autore delle “l” (o di altro gesto grafico o, più ampiamente sistema grafico): non si è beneficiato di un “lessico”.

Senza la categorica certezza di una precisa metodologia che comporta, con la codificazione dei segni, l’esatta identificazione degli stessi e delle loro caratteristiche e delle loro anomalie, in un proemiale riferimento paradigmatico per la comprensione della loro valenza e la relativa discussione, in realtà il confronto tra consulenti rischia di diventare babelico ed il giudizio di sintesi esclusivamente suggestivo o pseudo-empirico: in un campo ove trattandosi anche di imitatio veri, o di oscillazioni grafiche dello stesso autore (coerenti per esempio a patologie momentanee o permanenti, o ad emozioni, o semplicemente, a occasionale posture scritturali), nulla è più pericoloso dello pseudo empirismo e cioè della suggestione.
D’altra parte qualsiasi attività correlata a qualsiasi “oggetto” o “materia” è resa praticamente possibile solo con l’adozione di un “codice”; neanche il muratore, il cameriere o l’agricoltore riescono ad operare senza adeguarsi a un preciso codice, né l’enologo, né il cuoco, né il sommelier, né lo stesso giocatore d’azzardo; tutti soggetti in grado di operare e di colloquiare solo mediante l’utilizzo di specifici linguaggi i quali possono risalire a particolari culture e civiltà ma debbono essere conosciuti e riconosciuti

L’affidabilità tecnica ed operativa dei tre Autori consiste preliminarmente nella trasparente onestà di approccio e di svolgimento e soluzione dei temi a loro sottoposti (sia nell’intervento stragiudiziale sia in quello giudiziale: e, in questo caso, sia che l’incarico relativo al tema venga affidato da una parte processuale o, invece, dal Giudice), e vi è poi il tarlo della ricerca metodologicamente organizzata, quindi la dedizione meticolosa nella riesamina del caso con l’indefinita serie di prove e di controprove sui “campioni” da esaminare e sui “campioni” di raffronto: ed è poi l’interdisciplinarità operativa applicata ad una esperienza grafologica vastissima acquisita (con rigorosità di metodo), sorretta da un retroterra culturalmente ampio e variegato che trova punto di partenza nella psiche dell’uomo di cui il gesto grafico costituisce espressione. Ed è l’intuito: l’inconscia capacità di fulminee diagnosi di sintesi, ciò che presuppone necessariamente non solo la cognizione di vasta gamma di dati e di tecniche, ma fondamentalmente la capacità di osservare, la capacità di comparare le osservazioni, l’esperienza metodologicamente acquisita, l’abilità nello scorgere e individuare, istantaneamente, gli elementi di omologia, di analogia o piuttosto di disuguaglianza: ovviamente rilevanti.
Ovviamente rilevanti: e questo è il punto.
Perché il concetto di rilevanza, a cui è funzionale l’osservazione e per cui sono imprescindibili dottrina e cognizioni, non può che riferirsi ad uno specifico parametro, cui l’occhio clinico dell’esperto faccia costante riferimento, e perché le cognizioni, le esperienze, le discipline, le osservazioni, i giudizi di rilevanza o irrilevanza, e lo stesso parametro di riferimento per l’identificazione della rilevanza o della irrilevanza possano resistere al banco prova del confronto scientifico, devono appartenere od almeno essere note alla comunità degli operatori.
L’osservazione peritale in grafologia, (così del resto come qualsiasi osservazione) può vantare finalità e valenza scientifica quando si avvale di un’ottica grammaticale rigorosa, precisa e comunemente nota; e quando le deduzioni (intuitive o no)  vengono collocate in definite categorie semiologiche che connotato l’identità o, invece, la mutazione del segno e più sottilmente il significato di quella identità o di quella mutazione e, finalmente, la rilevanza valutativa di quel significato.
In relazione a un fenomeno naturalmente fluido quale è il gesto grafico alla possibilità di individuare e di identificare l’autore di una grafia che si svolge in continue mutazioni, o, piuttosto di individuare l’imitatore di quella grafia, l’esigenza di adeguare l’inchiesta ad una rigorosa metodologia, è imprescindibile: e la caratteristica professionale che rende persuasive le diagnosi di Evi Crotti, Alberto Magni e Oscar Venturini è la radicale, costante e uniforme coerenza a quella disciplina metodologica che oggi propongono nel loro Manuale (“Istituziones”): così il loro intuito è secondario agli approfondimenti effettuati in umile coerenza ad un ben delineato criterio metodologico; e nel tempo stesso (l’intuito) è preliminare all’altrettanto umile dedizione alle verifiche mediante susseguente indagini analitiche, condotte secondo il metodo adottato, per la controprova scientifica dell’illuminazione intuitiva. E’ precisamente questa la modalità che informa il significato dell’esperienza e la esalta in “valore” professionale consentendo la induzione paradigmatica e conferendo sempre maggior fecondità a quell’intuito che si sviluppa e matura in base a quanto è stato visto e verificato nella scrupolosa attenzione al  paradigma.

Ogni capitolo dell’attuale volume propone modelli metodologici organici e concreti, funzionali alla specificità della ricerca; troviamo, per esempio, nel tredicesimo capitolo, (che è l’ultimo dell’opera), un’ipotesi disciplinare per la “valutazione di disturbi di personalità e di scrittura” e ci rendiamo conto di come gli Autori, nell’autorevole proposta del loro manuale, rendono esattamente conto delle problematiche in relazione alle quali viene richiesta la maggiore attenzione del perito grafologico. Anche nella stesura del capitolo tredici emerge l’esigenza di stabilità metodologica. L’inizio del capitolo “disturbi di personalità e scrittura” consiste in una duplice descrizione:
“Un disturbo di personalità rappresenta un modello di esperienza interiore e di comportamento che:

  • devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo
  • è pervasivo e inflessibile
  • esordisce nell’adolescenza o prima età adulta
  • è stabile nel tempo
  • determina disagio o menomazione
  • Disturbi di personalità sono i seguenti
  • Disturbi paranoide di personalità
  • Disturbo schizoide di personalità
  • Disturbo schizotipico di personalità
  • Disturbo antisociale di personalità
  • Disturbo Borderline di personalità (DBP)
  • Disturbo istrionico di personalità (DIP)
  • Disturbo narcisistico di personalità (DNP)”

Procede la trattazione con figure e tabelle in cui vengono schematizzati i riflessi grafici delle sintomatologie (desunti dalla continua sperimentazione metodologica su indefinito numero di “campioni”) secondo un preciso linguaggio: ed è proprio l’utilizzo di quel linguaggio che consente  l’oggettività della valutazione e dunque la discussione scientifica.
Il decimo capitolo è dedicato  alla “validità del documento”; in esso gli autori approfondiscono temi d’ordine psicologico di particolare interesse giudiziale. Per esempio al paragrafo 2.4 si occupano dell’imputabilità e delle emozioni; al paragrafo 3 della capacità di intendere e di volere e segnalano la distinzione tra l’intendere e il volere per desumere le differenziali grafologiche dell’autore capace di intendere, ma inibito nella facoltà volitiva, dall’autore dominato dalla incapacità intellettiva e tuttavia “libero” volitivamente d’esprimere la propria inadeguatezza all’intendere.
Anche questo capitolo è corredato da rilevanti schemi parametrici e da meticolose, persino scrupolose, tabelle: la tabella 2 scheda IV prende in esame 5 situazioni di alterazione extra grafiche, 7 situazione di alterazione paragrafiche, 28 situazione di alterazioni grafiche: da cui “si evince la possibilità di valutare la capacità di una adeguata attenzione a quanto il soggetto fa e se le condizioni generali sono perfettamente conservate al punto di permettere di produrre documenti che rispettino i criteri di massima per essere considerati come prodotto di una persona capace di intendere e di volere”.
Anche qui il giudizio parametrico è indotto dall’osservazione rigorosamente metodologica del fenomeno grafico preso in esame nel capitolo, e ciò è di somma importanza perché il perito grafologico, per essere scienziato grafologico, non si limita a verificare che il segno grafico o paragrafico od extragrafico corrisponda al paradigma indotto e rappresentato, ma, prima, esige che quel paradigma sia corretto: coerente alla metodologia, alla grammatica, al lessico proposto, talché l’adozione del segno (grafico, paragrafico od extragrafico) a finalità diagnostiche sia logicamente correlato alle sue premesse metodologiche e dunque suscettivo di valutazione obiettiva costante.

Il “manuale di grafotecnica” consiste in “criterio guida” secondo la prospettiva entro cui si muove lo sguardo degli Autori, il diaframma unitario della loro osservazione, la ratio che nutre la loro analisi e la loro conclusione. Evi Crotti, Alberto Magni e Oscar Venturini nel loro “testo” (istitutiones) ci descrivono, per esempio, le ragioni per cui due scritture che appaiono tra loro diversissime appartengono invece ad una identico autore, eventualmente in differenti fasi del suo sviluppo esistenziale, delle sue variazioni emotive, persino dell’ipotesi di intervento momentaneo o definitivo di situazioni di incapacità cognitiva e/o volitiva, e, viceversa,  ci rendono conto degli elementi in base a cui scritture che appaiono tra loro uguali sono invece da considerarsi redatte da autori diversi guidati da intento mimetico: ma quel che conta è che tale descrizione e tale resoconto corrispondono ad un linguaggio codificato, o meglio, rientrano nel quadro di un “metodo” inteso come disciplina operativa scientifica e definitoria di un lessico da intendersi quale costante semiologica e dunque compreso nella proiezione deduttiva effettuata sui “campioni” sottoposti a esame peritale e quindi discutibile scientificamente sia in sé e di per sé, sia nella validità delle proiezioni volta a volta effettuate, sia nel raffronto con l’opera di altri tecnici, in relazione alla metodologia operativa parametrica da loro adottata o, invece,  nel melanconico riscontro della mancanza di alcuna metodologia e di alcun parametro, di alcuna proiezione, di alcuna obiettività valutativa.

Nel contesto processuale di disamine peritali e nel raffronto tra periti d’ufficio e consulenti di parte si avverte molto spesso che la discussione fra i tecnici si riduce ad enunciazioni avulse da ragioni esplicative illuminanti: non si riesce sempre a capire perché la differenza tra un episodio grafico e un altro, rilevante o non rilevante ai fini del giudizio definitivo, e l’indicazione degli elementi in base a cui da una parte viene sostenuta la rilevanza e dall’altra l’irrilevanza, si risolva in fabulazioni spesso soggettive e pseudo empiriche nel contesto delle quali il giudicante, privo di codice e fondamentalmente privo della possibilità di risalire all’argomento parametrico in base a cui l’uno o l’altro tecnico attribuisce o non attribuisce valore di identità o disuguaglianza al medesimo segno, finisce con lo smarrirsi.
I nostri Autori propongono un codice che, certo, non ha il difetto di essere improvvisato né tanto meno quello di essere incoerente; lo propongono perché sia conosciuto, in maniera che il loro pensiero peritale sia decifrabile nelle sue radici; che possa essere condiviso, che le diatribe tecniche riescano a svolgersi in base ad un linguaggio comune; o, invece, che sia criticato così da poter essere, discusso, difeso o piuttosto corretto e comunque preso nella dovuta e necessaria considerazione.
Da qui l’estremo interesse e valore teorico, ma anche pratico, del libro che sembra destinato ad una svolta culturale nel settore delle perizie grafotecniche.